Foglietto settimanale dal 13 al 20 Febbraio 2022

Pensavo fosse felicità, invece era solo aria!

Tutti gli uomini desiderano essere felici! Se n’era accorto anche Aristotele, il quale pensava alla felicità come una meta da conquistare.

C’è chi pensa che la felicità dipenda dal potere e tutta la loro vita ne diventa una disperata ricerca inserendosi in una spirale che li rende sempre più assetati al punto di autodistruggersi. Davanti a questi cavalli impazziti che scalpitano per raggiungere la felicità, si staglia l’immagine serena di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua.

Gesù parte dal desiderio più profondo dell’uomo: vogliamo essere felici! Il primo insegnamento di Gesù riguarda proprio questa domanda, che probabilmente oggi come allora è la domanda fondamentale che alberga nel cuore di tutti noi.

La felicità non è una cosa da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita. Gesù invece ci presenta situazioni apparentemente paradossali in cui possiamo renderci conto di essere già felici.

Ma “stranamente” tutte le situazioni presentate da Gesù sono caratterizzate da una mancanza: felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio. Siete felici quando non avete niente, quando piangete, quando vi odiano, quando vi insultano, perché in quel momento sono io la vostra ricchezza, la vostra consolazione, la vostra difesa. La felicità non è una meta lontana, dice Gesù, perché è in quel giorno, che vi potete rallegrare. Siete nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della vostra vita.

Questo insegnamento si capisce ulteriormente nel proseguo del discorso di Gesù: coloro che sono ricchi, che sono sazi o che hanno motivi per ridere, coloro di cui tutti parlano bene, facilmente si dimenticano di Dio.

Pensano di bastare a sé stessi, si sentono forti e autosufficienti, il loro “io” occupa tutto lo spazio della loro vita. Sono infelici perché sono in una situazione tale da escludere completamente Dio dalla loro vita.

Ancora non se ne rendono conto, ma come ci dice Geremia, sono tamerischi nella steppa: ben presto si accorgeranno di essersi ormai seccati!

Sant’Ignazio di Loyola ci ricorda che la ricchezza è il primo gradino che porta l’uomo verso la perdizione, gli altri due sono la vana gloria e la superbia.

Ricchezza non intesa come beni terreni, ma ricchezza come pienezza di sé, illusione di non aver bisogno di Dio. Condizione molto diffusa, tra coloro che occupano posti di potere, di autorità, che rivestono ruoli per i quali sono riconosciuti.

È la ricchezza che ci fa sentire palloni gonfiati, la vana gloria è infatti quella sensazione di essere qualcuno, mentre agli occhi di Dio siamo solo pieni di inutile aria. Ed è così che si arriva alla superbia, cioè ad escludere Dio dalla propria vita.

Altro particolare che ci deve far riflettere: Gesù si trova in un luogo pianeggiante e, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi. Gesù non ci guarda dall’alto in basso per commiserare le nostre situazioni, si mette più in basso, ci parla alzando gli occhi al cielo, perché, mentre vede le nostre miserie, sta già anche pregando per noi.

Chiediamoci allora: Cosa è per essere felice? Offro spazio della mia vita a Dio?

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