La fatica di credere: affrontare la paura di amare!
At 5,12-16 Sal 117 Ap 1,9-11.12-13.17-19 Gv 20,19-31
La fiducia è un cammino che ci apre al rischio infatti non ci fidiamo mai immediatamente, tutto passa attraverso dubbi, domande, incertezze. L’amore è frutto di un cammino che passa anche attraverso vie secondarie, smarrimenti e ritorni ed è così anche per la fede!
Gli stessi discepoli, nelle apparizioni del Risorto, sperimentano la fatica di credere, vengono assaliti dalla paura e dal dubbio. Ognuno di loro, com’è anche per noi ha bisogno di percorrere la propria strada per arrivare a credere nella risurrezione; partendo sempre dalla situazione che ognuno di noi vive e porta nel cuore.
È la paura che tante volte frena i nostri slanci affettivi e spirituali, paura che nel Vangelo ha l’immagine delle porte chiuse del Cenacolo, luogo molto simile al nostro cuore.
Il Cenacolo che è il luogo in cui Gesù ha consegnato la sua vita a tutti noi, ma anche “all’amico che lo tradiva”; ma è anche il luogo dove, nell’intimità ha parlato e insegnato ai discepoli; paradossalmente ora invece è diventato un sepolcro abitato dalla paura, dalla morte, chiuso e buio. Totalmente opposto al sepolcro di Gesù, che ora è vuoto, aperto, e diventato luogo di testimonianza e annuncio di vita nuova!
Gesù però non si ferma davanti alle paure, alle tante porte chiuse del nostro cuore! Entra, si pone al centro, nel mezzo della comunità, della Chiesa, riappropriandosi di quel posto che tante volte gli abbiamo tolto, per metterci i nostri idoli… e in quei cuori abitati dalla paura, Gesù porta la pace.
Non è un caso che il saluto di pace sia ripetuto tre volte per evidenziarne la fatica nell’accoglierlo, e oggi più che mai se ci guardiamo intorno, capiamo quanto sia difficile e non scontato accogliere questo dono, perché la pace impegna e chiama tutti al perdono.
Questo dono della pace, ci impegna tutti come Chiesa nel portare il perdono: una comunità che non è capace di perdono è una comunità che non trova pace in sé stessa.
Un cuore che non è capace di perdono è un cuore che non troverà mai la vera pace.
Ma nonostante l’incontro con il Risorto, otto giorni dopo quelle porte sono ancora chiuse; il Cenacolo è ancora abitato dalla paura e dalla sfiducia: ma veramente quelle persone hanno incontrato il Risorto?
Perché Tommaso dovrebbe credere quando i suoi compagni che hanno incontrato Gesù sono ancora pieni di paura e chiusi nel cenacolo?
E noi come comunità, come credenti, che testimonianza diamo del nostro incontro col Risorto?
Altra riflessione che la Scrittura ci lascia è legata al nome di Tommaso detto “didimo”, termine che può essere tradotto sia come doppio che come gemello.
Doppio perché alterna fede e incredulità: un po’ crede, un po’ non crede, entra e esce più volte dalla comunità…
Gemello, perché ha un altro che gli somiglia e quell’altro sono io: nella mia incredulità, nella mia esitazione, nel mio stare nella comunità, nella mia fede… abbiamo ancora un cammino da fare, una conversione da intraprendere: la fede ogni giorno va testimoniata e vissuta!
È un continuo cammino di riconoscimento, di scoperta, di apertura, che avviene attraverso le ferite!
Volutamente Gesù si fa riconoscere attraverso le sue piaghe, le ferite della nostra vita non sono inutili, dicono chi siamo, raccontano la nostra storia. L’amore ci chiama a contemplare e riconoscere le ferite dell’altro. Quando si ama, non si cercano le prove, ci si fida: sono beati cioè felici, coloro che non hanno bisogno continuamente di mettere il dito nella piaga dell’altro per potergli credere! Tommaso, come noi, sta imparando ad amare.
Chiediamoci allora: Come sono le porte del mio cuore? Chiuse per la paura, socchiuse, spalancate? Sono capace di donare il perdono o non trovo pace in me?
II domenica_2025