Foglietto settimanale dal 10 al 17 Luglio 2022

Vado di fretta! La felicità e la capacità di fermarsi

La maggior parte delle volte il nostro sguardo è rivolto solo su di noi, sul nostro efficientismo, sulla nostra immagine da mostrare, persino sul piano morale diventa centrale la correttezza del nostro comportamento, come se la nostra felicità dipendesse dalla capacità di non sbagliare mai e così anche la vita spirituale si trasforma o in un’autocommiserazione o in un’autopromozione dei propri trofei davanti a Dio.

Invece la vita diventa piena quando siamo capaci di cambiare il nostro sguardo o, come ci insegna il testo del Vangelo di Luca, di cambiare la domanda. Spesso le domande che rivolgiamo a Dio nella nostra preghiera non sono autentiche, rischiano di essere superficiali, di facciata, non esprimono quello che ci portiamo veramente nel cuore.

Perché un esperto della Legge pone una domanda sulla Legge? Luca ci dice che si tratta di un modo per mettere alla prova Gesù, cose che a volte facciamo anche noi per mettere alla prova la bontà di Dio o la sua potenza, rimanendo puntualmente delusi. Ma la domanda del dottore della Legge svela che è un uomo che parla di doveri e di eredità, usa termini giuridici, pensando di racchiudere l’eternità della vita nella correttezza di un comportamento, come se la felicità fosse la conseguenza di quella correttezza.

Gesù non perde tempo con chi ragiona in questi termini, ma si ferma invece sulla domanda che permette di guardare le cose da un altro punto di vista: chi è il mio prossimo? Chi è vicino a me?

Il riferimento è ancora “l’io” la pretesa che il mondo gli giri attorno, l’illusione di essere il centro dell’universo, ma la domanda permette a Gesù, di entrare nella sua vita e aiutarlo a cambiare lo sguardo. Attraverso un racconto alla fine la sua domanda troverà una formulazione nuova: chi è stato prossimo? Ecco la domanda corretta: non aspettare ma prendere l’iniziativa, fare il primo passo, vedere il bisogno dell’altro e prendersene cura.

Questa è la domanda che porta alla felicità.

È il racconto di un viaggio, immagine della vita. Viaggio nel quale incrociamo la vita degli altri, dove a volte ci capita di farci male, di essere feriti, questo viaggio parla della nostra vulnerabilità, di quella debolezza che accomuna tutti, perché prima o poi tutti facciamo l’esperienza di essere feriti e di ritrovarci mezzi morti.

Un uomo sta scendendo da Gerusalemme a Gerico: un semplice uomo, di cui non si dice nulla, non parla, non dice nulla, non sappiamo di dove sia, a quale popolo appartenga ognuno di noi potrebbe essere quell’uomo. Ma è un uomo ferito e questo dovrebbe bastare, senza altre motivazioni, per farci fermare e prenderci cura di lui.

Scendono un sacerdote un levita, forse dopo aver terminato il loro turno di servizio nel Tempio di Gerusalemme “vedono, ma non si fermano”: si può passare tanto tempo nella casa di Dio e non aprire gli occhi sulle ferite degli altri.

Passa un samaritano: i classici incroci della vita, non si tratta di un viaggio legato alla liturgia o alla religiosità “ma si ferma”: avere compassione delle ferite di un altro è questione di umanità, non di culto o religione.

Il Samaritano che si ferma davanti a un uomo anonimo, ci dice che non occorre un motivo speciale per interrompere il proprio viaggio.

La compassione è fatta di gesti concreti, non è sguardo, sentimento, idea romantica, richiede azioni: si fa vicino, fascia le ferite, versa olio e vino, ne porta il peso trasportandolo in un albergo, se ne prende cura, ma non solo, pensa anche al futuro!

Si impegna a tornare ed eventualmente a completare la sua opera. Lascia due denari, più o meno due giornate di lavoro, né tanto né poco, ma quanto serve in quel momento.

Prendersi cura delle ferite dell’altro non chiede gesti straordinari, ma l’onestà di riconoscere quello che serve oggi.

Se anche noi come il dottore della legge, desideriamo trovare la vita piena, dobbiamo cambiare il nostro sguardo, imparare dal samaritano. Ma quando saremo capaci di uscire da noi stessi e dal pensare solo ai nostri bisogni? Forse quando faremo memoria che un giorno anche noi ci siamo ritrovati mezzi morti sulla strada e un Samaritano, Gesù, ha avuto compassione di noi e si è preso cura delle nostre ferite. Non si diventa samaritani senza la consapevolezza di essere vulnerabili, persone ferite a cui tante volte è stata ridata la vita.

Gesù è il Samaritano, colui che versa olio e vino sulle nostre ferite, segni messianici preannunciati dai profeti, colui che tornerà e porterà a compimento l’opera che già ha iniziato in nostro favore.

Chiediamoci allora: qual è la domanda mi sta a cuore? Mi fermo oppure proseguo davanti alle ferite degli altri?

XV Domenica

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