Foglietto settimanale dal 23 al 30 Gennaio

Senza identità: una malattia del nostro tempo

Una delle grandi malattie di oggi è la mancanza di prospettive. Spesso non sappiamo che cosa vogliamo veramente e allora facciamoci aiutare dalle letture di questa domenica per rispondere a questa domanda: chi voglio essere? Chi vogliamo essere?

Il testo di Neemia può essere riletto infatti come il cammino di un popolo alla ricerca di un’identità. Siamo al ritorno dall’esilio, momento tragico, perché si tratta di gente che si ritrova non solo davanti alle macerie della propria città, ma alla distruzione della propria storia. Non ci sono più i luoghi fondamentali come il Tempio simbolo dell’identità, né quelle istituzioni che costituivano l’impalcatura della società.

Esdra e Neemia sono due personaggi che hanno contribuito a ricostruire l’identità di Israele, attraverso la ricostruzione del Tempio, punto di partenza per la ricostruzione della relazione con Dio. Passo successivo, la restituzione del dono della Legge, criterio intorno al quale ritrovarsi come comunità. Terzo passo la ricostruzione delle mura: la ridefinizione del confine dell’identità.

Anche oggi ci ritroviamo davanti alle macerie e, come il popolo tornato dall’esilio, possiamo essere scoraggiati. È necessario darsi da fare, ma prima ancora, abbiamo bisogno di ritrovarci, di capire cioè chi siamo e chi vogliamo essere. Il cammino di Israele partirà infatti dalla memoria, dalla rievocazione di quanto Dio ha compiuto. È da quella memoria, che riceve luce sulla sua attuale identità.

Nel Vangelo, Gesù risponde personalmente a questa domanda: che tipo di Messia voglio essere? Troviamo infatti in questo testo l’incipit di una sorta di omelia o di un commento al brano del profeta Isaia che Gesù stesso aveva letto, così come ogni israelita era invitato a fare. Gesù trasforma quell’occasione nella proposta di un discorso programmatico, siamo infatti all’inizio del suo ministero.

Già nei versetti precedenti, Gesù ha manifestato con le sue scelte che tipo di messia vuole essere. Infatti nelle tentazioni del deserto: Gesù ha rifiutato di trasformare le pietre in pane, (sebbene avesse fame dopo quaranta giorni di digiuno), rifiuto motivato dal desiderio di esercitare il suo potere non per interesse personale, ma per gli altri. Sceglie di non inginocchiarsi davanti alla logica del diavolo che gli offre tutti i regni della terra, dove Gesù avrebbe potuto portare avanti i suoi progetti di bene, passando però attraverso la logica del diavolo. Molte volte anche noi, con il pretesto che è a fin di bene, portiamo avanti i nostri progetti alleandoci con logiche ingiuste, scorrette e demoniache.

Si rifiuta di gettarsi dal pinnacolo del tempio, resistendo alle lusinghe del diavolo che lo invita ad approfittare della sua relazione con il Padre, ma Gesù non ha bisogno di verificare l’amore che il Padre ha per lui.

Il progetto per Gesù, non rimane chiacchiera vuota. Purtroppo siamo abituati a sentire parole che restano solo proclami, non solo nella vita pubblica, ma anche nelle nostre relazioni private: molti “ti amo” alla fine si rivelano solo chiacchiere.

La parola di Gesù è invece una parola vera perché si compie, non chiede tempo, si compie oggi, è già vera nel momento in cui viene detta.

Parole pronunciate nel luogo più ostile, cioè nella propria terra. Il coraggio di Gesù consiste anche nel pronunciare quel discorso programmatico nei luoghi per lui più familiari, in cui è cresciuto. Molte volte chi ci conosce non è più disposto a lascarsi sorprendere. Diamo per scontato.

Forse oggi, siamo proprio noi i familiari di Gesù, che non sono più disposti ad ascoltarlo. Presumiamo di conoscerlo già, e non siamo più disposti a lasciarci sorprendere da lui. Forse non siamo più disposti a credere che la sua parola possa veramente compiersi anche per noi.

Chiediamoci allora: Quale persona voglio essere? Le mie azioni sono coerenti con le mie parole?

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