Foglietto settimanale dal 9 al 16 ottobre 2022 – Pieve di Budrio

Quando la vita va in frantumi

Ci sono alcuni momenti della vita che ci sembra di morire lentamente, facciamo fatica a trovare una ragione per continuare a trascinare avanti i brandelli della nostra esistenza. Sono quei momenti della vita in cui ci sentiamo messi da parte, isolati, come se gli altri avessero paura di contaminarsi con noi. La Bibbia ci presentata questa situazione attraverso la figura del lebbroso, presente fin dall’Antico Testamento nella storia d’Israele.

Ci racconta di Naamàn il Siro, un funzionario del Re di Aram, uomo che non appartiene al popolo di Israele, ma che viene a sapere che in quel paese c’è un profeta, Eliseo, che può guarirlo dalla sua malattia.

Naamàn, da funzionario reale, si aspetta di essere sottoposto a prodigi singolari ed è pronto a ripagare adeguatamente il privilegio che pensa di meritare. Eliseo invece gli manda a dire di bagnarsi semplicemente nel Giordano sette volte, forse per insegnargli che ciò che guarisce è la fede non la materia!

Se è vero che a volte ci sentiamo morire, messi da parte, incapaci di vivere pienamente la nostra vita, è anche vero che Gesù viene a cercarci proprio nei deserti dove la vita ci ha messo. Quando ci sentiamo morire è difficile trovare la forza di reagire, la volontà si fiacca è tutto sembra inutile.

Gesù per andare a Gerusalemme passa attraverso la Samaria e la Galilea, una deviazione assurda, apparentemente senza senso, ma Gesù vuole attraversare quei luoghi identificati con l’infedeltà (la Samaria) e con l’ignoranza della vera fede giudaica (la Galilea) perché vuole incontrare coloro che sono perduti, o che si sentono tali, che sono stati esclusi dagli altri o che forse da soli non riuscirebbero a uscire dalle loro periferie.

Per Dio infatti non ci sono confini e il suo amore raggiunge ogni uomo: «tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio» (Sal 97,3).

Dio è colui che rimane fedele nonostante le nostre infedeltà, come dice Paolo nella lettera a Timoteo: «se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso» (2Tm 2,13).

Che la nostra infedeltà sia consapevole o meno, Dio ci raggiunge là dove ci siamo persi, dove forse stiamo andando a pezzi, dove la vita si è frantumata.

Gesù nel Vangelo, incontra un gruppo di lebbrosi che parlano con una sola voce, come se fosse una sola persona: a volte il dolore unisce, crea una solidarietà, nel dolore si condividono le paure e le speranze.

È l’immagine di una comunità malata: sono dieci come il numero richiesto per l’assemblea sinagogale! Possiamo anche noi riscoprirci in questo gruppo come umanità malata che cerca aiuto. Appena li vede, Gesù li rimette in cammino, offre una metà: andate a presentarvi al sacerdote! Fate quello che dovete fare, consideratevi già guariti, credete nella vostra guarigione.

Gesù li rimette nel tessuto delle relazioni sociali: la prima guarigione di coloro che si sentono esclusi e rifiutati è la possibilità di tornare a essere accolti.

Nella vita rischiamo di credere che la nostra guarigione, la nostra integrità, la nostra salute, siano lo scopo e il fine ultimo del nostro cammino. D’altra parte non facciamo male a nessuno, anzi facciamo il nostro dovere, facciamo quello che ci è stato chiesto di fare, proprio come questi lebbrosi.

Ma solo uno si accorge che nella vita c’è anche altro: si può ringraziare, si può essere riconoscenti, si può scoprire che c’è una relazione con Dio che dà senso alla nostra esistenza e che vale di più dell’integrità fisica.

Il lebbroso che torna indietro è anche salvato, gli altri sono solo guariti!

E ciò che lo salva è la sua fede, benché sia un samaritano, un eretico. Ma allora cos’è la fede? Qui la fede sembra risiedere nell’umiltà che mi fa riconoscere che io non sono tutto, ma che la vita mi è stata donata e per questo diventa lode.

Chiediamoci allora? Cosa significa per me essere salvato? Come reagisco quando faccio fatica a vivere?

XXVIII Domenica T.O.

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