Foglietto settimanale dal 25 Settembre al 2 Ottobre 2022 – Pieve di Budrio

A un certo punto non ti ho visto più! L’inferno di tutti i giorni

Tante volte, nel linguaggio comune, affermiamo che una situazione è infernale.

Una delle definizioni più profonde e toccanti dell’inferno, la troviamo nel Diario di un curato di campagna, di G. Bernanos: «L’Inferno, signora, è non amare più».

In quel romanzo si racconta la storia di un giovane prete che si ritrova in una parrocchia in cui sperimenta una grande ostilità da parte dei parrocchiani, il suo inferno, è l’isolamento profondo dal mondo, quell’impossibilità di comunicare quello che ti porti dentro, l’impossibilità di confessare il tuo bisogno di essere amato.

Il testo del Vangelo di Luca ci presenta l’Inferno come un abisso, una grande distanza, e sembra voler suggerire che quella distanza la scaviamo durante la vita: siamo noi stessi che ci costruiamo l’inferno della solitudine.

Dove sto sbagliando?

Il ricco epulone, dopo i figli del padre misericordioso e l’amministratore scaltro, è l’immagine di chi si mette a cercare in modo sbagliato il senso della vita, e nuovamente il Vangelo torna a metterci in guardia contro quella tentazione sottile di sfamare solo noi stessi. Come il ricco epulone siamo tutti esposti a quella voce che continuamente ci esorta a pensare prima di tutto a noi stessi: pensa prima a te! Salvati! Perfino Cristo, sulla croce, sente quella stessa tentazione.

Il ricco epulone non ha nome, è già nell’inferno, perché se non hai un nome non puoi essere chiamato: il ricco vive già nel suo isolamento. Neanche Dio ha un nome per lui.

Nel vangelo, la ricchezza è il contrario del dono, se sei ricco vuol dire che non hai donato, presenta uno stile di vita: si vestiva e si dava a lauti banchetti.

L’opposto dell’invito che troviamo in Matteo, dove Gesù invita a non preoccuparsi di quello che indosserete e di quello che mangerete.

Vestirsi e mangiare sono le nostre grandi preoccupazioni: preoccuparsi per il vestito vuol dire preoccuparsi del giudizio che gli altri hanno su di me. Per questo ogni giorno ci affatichiamo nel cercare la maschera giusta per compiacere il mondo senza mostrare mai il nostro vero volto. Siamo preoccupati di cosa mangeremo, perché non ci fidiamo del mondo e pensiamo sempre di dover andare a caccia per conquistarci le nostre prede.

Il ricco epulone è proprio il contrario dell’immagine di Cristo: se il ricco si veste, Cristo si spoglia della sua uguaglianza con Dio, se il ricco si dava a lauti banchetti, Cristo dona il suo corpo come cibo.

È la preoccupazione per se stessi che pian piano scava l’abisso che ci separa dagli altri e da Dio.

Lazzaro invece ha il nome che significa “Dio aiuta”, è colui che vive la beatitudine della mancanza. Lazzaro desiderava sfamarsi: la sua fame lo spinge a non smettere di desiderare. Lazzaro cerca, è aperto alla vita. E infatti Dio ha per lui un nome.

La terra a cui il ricco epulone è attaccato, diventa invece la sua tomba: fu sepolto. La terra, a cui si è attaccato gelosamente, gli cade addosso.

L’inferno ce lo costruiamo con la vita quando ci chiudiamo dentro le nostre torri d’avorio, ci attacchiamo alle nostre sicurezze, ai nostri ruoli, quando ci difendiamo dietro quell’immagine diventata ormai una gabbia.

Come l’amministratore disonesto chiamato improvvisamente dalla vita a rendere conto, così succede anche al ricco epulone: la vita ci offre sempre generosamente l’occasione di vedere dove siamo.

Vedere è il verbo della responsabilità perché ci permette di ri-decidere della nostra vita. Come sto cercando di dare senso alla mia vita?

Prendo e trattengo per me oppure ho il coraggio di chiedere da Mangiare?

Fin dal mattino la Parola ci scuote e ci distoglie da quella quotidiana preoccupazione di cercare l’abito giusto o di chiuderci da soli nei depositi delle nostre sicurezze.

Chiediamoci allora: Cosa potrebbe portarmi ad allontanare da Dio e dagli altri? Cosa sto costruendo con la tua vita?

XXVI Domenica T.O.

SCARICA PDF